L’Implantologia osteointegrata ha rivoluzionato negli ultimi trenta/quaranta anni la cura della dentatura dell’adulto, intesa come reintegro mediante protesi dei denti persi nel corso della vita.
Prima dell’avvento dell’implantologia moderna, rimpiazzare uno o più denti nella bocca del paziente richiedeva, nella migliore delle ipotesi, il sacrificio parziale dei denti adiacenti per l’esecuzione di un ponte fisso o, in assenza di pilastri idonei a sostenerlo, la realizzazione di protesi mobili più o meno complesse con appoggio parziale sui denti residui o addirittura, in loro totale assenza, ad appoggio solo mucoso, le cosiddette dentiere.
Già molto tempo fa il tentativo di ovviare a questo problema aveva indotto gli studiosi a ricercare un modo per sostituire le radici dei denti direttamente nell’osso del paziente utilizzando viti metalliche o aghi inseriti nella mandibola o nella mascella, che dessero appoggio e ancoraggio a ponti e corone protesiche, per molti anni, però, la mancanza di materiali ben tollerati dall’organismo e la scarsa conoscenza del loro comportamento nell’osso hanno reso queste procedure inaffidabili e rischiose con percentuali di successo inferiori al 50% dei casi.
L’utilizzo del titanio, metallo assolutamente biocompatibile con il nostro osso, e la comprensione dei meccanismi che permettono all’osso di legarsi a esso, hanno reso possibile ciò che avviene oggi, ovvero reintegrare i denti naturali mancanti con impianti inseriti nell’osso del paziente, con una percentuale di successo prevedibile intorno al 98% .
A questo punto ci si può chiedere: è più conveniente oggi sostituire un dente danneggiato piuttosto che tentare di curarlo?
La risposta è no.
Ancora oggi gli impianti non replicano pienamente le caratteristiche fisiologiche dei nostri denti, che sono costituite da un insieme di strutture tale da renderli unici e complessi.
I denti sono ancorati all’osso dal legamento parodontale che funziona come un ammortizzatore idraulico, rendendoli relativamente elastici quando sottoposti alle forze masticatorie, gli impianti no, sono trattenuti nell’osso per contatto diretto con esso e sono, quindi, rigidi.
I denti hanno forma e numero delle radici diverse secondo la funzione che devono svolgere, in modo da ottimizzarne la distribuzione del carico masticatorio e l’efficienza nel tempo.
Attualmente gli impianti esistono solo di forma cilindrica o cilindro-conica, e possono sostituire solo una radice; variano solo nel diametro, più o meno grande, e nella lunghezza, cosa che li rende molto diversi dai denti dal punto di vista delle proprietà biomeccaniche e anatomiche, molto adatti alla sostituzione di denti con una sola radice, meno nel caso dei molari che ne hanno due o tre per cui in queste zone sono da considerare un compromesso dal punto di vista biofunzionale.
Gli impianti non si cariano, ma la carie non è l’unica malattia che può danneggiare il dente, tutte le patologie delle gengive e dell’osso di sostegno che possono colpire i denti, possono colpire nel tempo anche gli impianti con esiti sempre peggiori su di essi, proprio per la mancanza delle strutture anatomiche descritte prima.
La PARODONTITE, se presa in tempo, è curabile per molti anni, la PERIMPLANTITE, analoga affezione che può colpire gli impianti, il più delle volte ne causa rapidamente la perdita.
Da queste e altre considerazioni deriva il concetto che ci deve guidare, gli impianti, che per fortuna oggi esistono, vanno utilizzati il più tardi possibile nell’arco della vita del paziente, e solo quando il mantenimento dei denti naturali diventa impossibile a causa dei danni eccessivi che hanno subito.
Allo stesso tempo, ogni dente che mostri una patologia con scarse possibilità di cura e prognosi negativa a lungo termine, denti con radici fratturate o lesioni parodontali irreversibili, va estratto e sostituito al più presto con un impianto, per evitare di perdere il supporto osseo necessario per il suo inserimento; la permanenza in bocca di denti in quelle condizioni, infatti, causa la perdita di osso e gengiva tutto intorno a essi, in modo anche rapido e grave, rendendo necessario il ricorso a tecniche chirurgiche complesse di ricostruzione dell’osso per inserire gli impianti, con notevole aumento dei costi e dei potenziali problemi di guarigione e attecchimento degli stessi.
Oltre a questo, se un dente è estratto e non rapidamente sostituito da un impianto, nel corso degli tempo l’osso che lo circondava e sosteneva, si riassorbe diventando spesso insufficiente per un inserimento tardivo con tutti i problemi che ne derivano e che sono stati sopra accennati. Inoltre, i denti adiacenti a quello mancante, si spostano inclinandosi verso la zona lasciata libera e rendono spesso impossibile rimpiazzare correttamente il dente mancante, per mancanza di spazio.
Concludendo si può dire che LA CHIAVE DEL SUCCESSO IN IMPLANTOLOGIA è fare la cosa giusta al momento giusto.
Prima di tutto occorre preservare il più a lungo possibile i propri denti nell’arco della vita, e nel momento in cui questo non fosse più possibile, ricorrere agli impianti seguendo i concetti espressi prima; in questo modo, riusciremo veramente ad avere e sfruttare la cosiddetta TERZA DENTIZIONE con una prospettiva di durata nel tempo sufficiente ad accompagnarci senza problemi fino alla vecchiaia.
Dott. Giuseppe Iemmola
Via G. D’Annunzio 2/76
16121 Genova
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