L’ENIGMA DELL’ANNIDAMENTO EMBRIONARIO O IMPIANTO

Su 100 coppie che iniziano la ricerca di una gravidanza circa 80 di queste ottengono il risultato sperato in un arco di tempo di 1-3 anni indipendentemente dal modo di ricerca (gravidanza spontanea o tramite procreazione medicalmente assistita – PMA). Questi tempi utili al raggiungimento dello scopo dipendono principalmente dall’età del partner femminile (età degli ovociti e disponibilità di ovociti o riserva ovarica). E’ fisiologico che per una coppia molto giovane il tempo possa essere di pochi mesi – un anno, per una coppia giovane sotto i 35 anni sia più lungo (1-2 anni) e che per una coppia ancor meno giovane (cioè dopo i 35 anni) sia un tempo ancora più lungo (2-3 anni). Tuttavia anche in caso di pieno successo la riproduzione è negli umani, in confronto al mondo animale, caratterizzata da uno stato di base fallimentare spesso intervallato da ricerche prolungate, frustrazioni psicologiche, precipitose diagnosi di infertilità, interruzioni improvvise di gravidanze (aborti spontanei), gravidanze ectopiche, malformazioni congenite e persino inspiegate morti fetali tardive.   

Il tasso di concepimento mensile, in coppie per altro sane e giovani, non supera in media il 20-30%. Questo è la conseguenza dell’alto numero di aberrazioni cromosomiche (aneuploidie) che occorrono nell’80% degli embrioni umani come conseguenza di errori durante la gametogenesi (errori della meiosi I negli ovociti nell’80%, errori meiosi II negli spermatozoi 10%) o l’embriogenesi (errori mitotici durante il clivaggio cellulare 10%).

In PMA, né le pratiche tese ad ottenere una migliore “qualità” degli embrioni (egg donation o sperm donor insemination o embryo adoption) nè i sofisticati parametri morfologici o molecolari usati, in vitro, per riconoscere questa “qualità” (PGS, PGD, time lapse video analysis, blastocyst scoring, analisi proteomica del blastocele), consentono di predire con certezza la costituzione cromosomica finale del feto nè garantiscono proprietà biologiche dell’embrione intrinseche all’impianto.

Ammesso, in via ipotetica, che l’insuccesso riproduttivo di una coppia non sia comunque da ascrivere a cause legate alla qualità embrionaria (a), diventa necessario escludere cause materne quali un fattore uterino propriamente detto (b) (polipi endometriali, fibromi, sinechie uterine, infezioni, tumori, malformazioni uterine) o mutazioni genetiche dei fattori della coagulazione del sangue materno (rischio trombofilico) (c). Solo in ultima ipotesi rimangono da considerare possibili anomalie della risposta materna a segnali embrionari (recettività uterina – dialogo materno-fetale) (d).

Un capitolo a parte deve essere considerata l’endometriosi (e) che in termini di rischio riproduttivo racchiude in sé multipli fattori contemporaneamente danneggiando la qualità degli ovociti, la funzione tubarica, le pareti uterine e anche la recettività endometriale all’impianto.  

Mentre i fattori (a, b, c, e) fanno riferimento a concetti precisi e ben intellegibili per i quali esiste una bibliografia estesa e una terapia definita (si rimanda il lettore a fonti reperibili ovunque), il fattore (d) fa riferimento ad un concetto per nulla immediato da comprendere, ritenuto ancora oggi enigmatico da un punto di vista biologico e spesso insormontabile da un punto di vista terapeutico.

Ma cosa s’intende esattamente per annidamento embrionario (d) ?

Il forte crescere delle scienze biologiche avvenuto nelle ultime decadi assieme all’espansione delle tecnologie applicate al campo della riproduzione assistita (PMA) ha portato a quasi dominare e controllare tutti gli eventi iniziali sulle origini della vita e conseguentemente correggere la maggior parte dei problemi legati all’infertilità e sterilità umana. Tuttavia esiste un fattore limite costante in riproduzione rappresentato, alla data corrente, dalla incapacità di sapere se gli embrioni ottenuti e rilasciati in utero siano poi capaci di impiantarsi, penetrare adeguatamente le pareti uterine, formare una adeguata placenta emato-coriale e dare vita allo sviluppo fetale. E’ noto come, in natura, successivamente all’incontro dei gameti femminile e maschile a livello del terzo distale della tuba uterina inizi la fecondazione cioè la formazione dello zigote che dividendosi (mitosi o clivaggio embrionario) porta prima ad un embrione di poche cellule poi alla morula (32 cellule) e quindi alla blastocisti cioè a quella fase dello sviluppo embrionario corrispondente a 5-6 giorni successivi alla fecondazione (> 100 cellule). Durante tutto questo periodo (fase del pre-impianto) l’embrione formatosi a livello tubarico inizia la sua discesa verso la cavità uterina dove una volta entrato appunto a 5-6 gg di sviluppo inizierà ad aderire e quindi attaccarsi e penetrare (fase di impianto). Perché questo avvenga la blastocisti deve liberarsi, nel frattempo, di una sua guaina esterna chiamata zona pellucida (di derivazione ovocitaria). L’esperienza acquisita con il trasferimento di embrioni fertilizzati in vitro (soprattutto in seguito alla diffusione della pratica di crioconservazione embrionaria) associata al diffondersi crescente delle pratiche riproduttive coinvolgenti terze parti (ovodonazione e madre surrogata) ha portato ad acquisire sempre più precise conoscenze sul timing appropriato del trasferimento in utero degli embrioni o blastocisti e sul ruolo dell’utero nell’impianto embrionario (referenza n 1). E’ noto da tempo che la maturazione endometriale (recettività uterina) deve corrispondere a fasi ben precise dello sviluppo embrionario e gli ormoni fondamentali per favorire questa maturazione endometriale sono gli ormoni steroidei o sessuali (estrogeni in una prima fase e estrogeni + progesterone successivamente). Gli steroidi ovarici possono essere somministrati in vario modo (per via orale, vaginale, o transdermica) sotto forma di farmaci capaci di riprodurre tutte le caratteristiche istologiche e biochimiche di un vero e proprio ciclo naturale (cicli artificiali) (referenza n 2). Il tempo utile a favorire l’attecchimento possibile di un embrione trasferito al terzo giorno (8-12 cellule) o al quinto giorno (> 100 cellule) di sviluppo, è molto ristretto e corrisponde ad una finestra temporale breve, corrispondente nei cicli artificiali, ai giorni 3°, 4° e 5° di supplementazione con progesterone alla terapia con estrogeni (in genere estradiolo – iniziato circa 10 giorni prima) (window of implantation). Mentre un embrione a 8-12 cellule ha ancora 2-3 giorni di clivaggio libero in cavità uterina prima di impiantarsi, la blastocisti in genere è trasferita al 5° giorno di supplementazione con progesterone e ha solo 24 h di tempo per impiantarsi (fase pre-impianto assai più breve). Al di fuori di questa finestra temporale l’impianto non avviene o se avviene porta ad aborto. Anche nei cicli naturali succede la stessa cosa, infatti in natura gli embrioni umani impiantano entro un periodo ristretto di 3 giorni cioè tra l’8° e il 10° giorno post-ovulazione. Curiosamente i tassi di aborto spontaneo crescono con il ritardare del giorno dell’impianto, con aborti di circa 13%, 26%, 52%, e 82% per giorni 9°, 10°, 11° e 12° di impianto post-ovulazione, rispettivamente. La finestra dell’impianto sembra funzionare quindi come un “cancello” pronto a chiudersi di fronte ad embrioni lenti ad impiantarsi a causa di anomalie cromosomiche (aneuploidie).

Recenti studi suggeriscono che durante la fase di pre-impianto gli embrioni producono e liberano localmente segnali che, in aggiunta alle modificazioni portate dagli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone,) completano la maturazione della mucosa uterina (decidualizzazione stromale). Tra le numerose molecole prodotte dall’embrione in fase di pre-impianto (PIF, hCG, E2, P4, EGF, interleukine, prostaglandine, ELABELA peptide)  l’hCG gioca un ruolo centrale: in una prima fase l’hCG (in continuazione con l’azione iniziata dall’ LH ovulatorio prodotto dall’ipofisi materna) si lega a suoi recettori (recettori per LH/hCG) espressi nell’ovaio (corpo luteo) e nell’endometrio (epitelio, ghiandole, stroma, vasi) inducendo la produzione di progesterone (azione ovarica mediata da protein-chinasi PKA) e enormi quantità di prostaglandine, VEGF e AMP-ciclico (messaggero intracellulare attivante geni) (azione uterina mediata da protein-chinasi PKA, PKB, PKC). A livello uterino e a loro volta, – il progesterone e l’AMPc -, entrambi agiscono insieme sulle cellule stromali trasformandole in cellule deciduali ossia cellule geneticamente riprogrammate proprio per rispondere, come bio-sensori, a segnali in arrivo dall’embrione in fase di clivaggio. Si ritiene che sia proprio in base alla quantità e tempistica di produzione di queste due molecole (progesterone e AMPc) che le cellule deciduali possono o no consentire quelle modificazioni necessarie al successo di una buona placentazione quali l’invasione trofoblastica delle pareti dei vasi uterini e la soppressione di risposte immunitarie materne locali potenzialmente avverse all’embrione. In un primo momento l’hCG completa quindi la recettività uterina del pre-impianto agendo in aggiunta ed oltre il livello degli ormoni steroidei. Successivamente, l’hCG prodotta dall’embrione cambia forma e si presenta particolarmente ricca di “zuccheri” cioè glicosilata (hyperglycosylated – hCG o hhCG) e le pareti dei villi placentari primitivi dell’embrione si arricchiscono oltre che di cellule del sinciziotrofoblasto anche e soprattutto di cellule del citotrofoblasto extravilloso che è appunto responsabile della produzione della quota più glicosilata di hCG (hhCG). Anche i recettori dell’LH/hCG cambiano diventando più simili a quelli del TGF-β e acquistano proprietà utili all’intenso rimodellamento vascolare locale conferendo inoltre particolare viscosità e adesività all’embrione in fase di impianto. Questa trasformazione sia della molecola dell’hCG che dei suoi recettori probabilmente corrisponde anche al coinvolgimento anche di altre molecole embrionarie vasoattive. Fra queste l’ELABELA peptide ha ricevuto molta attenzione recentemente e con l’hCG condivide simili meccanismi di trasduzione del segnale intracellulare (Apelin receptor – Proteine G) (referenza n 3, 4, 5, 6).

 

In conclusione, si è qui voluto introdurre il concetto che quando il problema riproduttivo non sia riconducibile alla costituzione cromosomica dell’embrione, né a problemi della coagulazione sanguigna materna, né a difetti della conformazione uterina rimane sempre possibile che a livello “biochimico” possano esistere difetti nella qualità delle molecole prodotte dall’embrione e/o anomalie di trasmissione del segnale ad esse collegato a livello uterino. Questo complesso dialogo “molecolare” necessita non solo di una qualità di segnali ma anche di una finestra temporale ben precisi per avere successo. E’ possibile che carenze o alterazioni di questo “dialogo” iniziale al momento dell’annidamento spieghino sia parte degli aborti pre-clinici (implantation failures e gravidanze biochimiche) che di eventi clinici quali aborti spontanei, distacchi di placenta e pre-eclampsie incontrati successivamente.  

Non si conosce ancora abbastanza circa questo sofisticato e specifico aspetto della riproduzione. Rimanendo nell’ambito clinico della PMA, si può agire sull’impianto solo grossolanamente, tramite attento monitoraggio dello spessore endometriale in risposta alla terapia ormonale artificiale e ottimizzando il timing e il modo o qualità del transfer. L’esecuzione, giorni prima del transfer, di una biopsia endometriale (endometrial scratching) si basa sul concetto di aumentare localmente (in utero) la disponibilità di citochine infiammatorie (prostaglandine, VEGF) prodotte in risposta al trauma bioptico e quindi poi utilizzabili in aggiunta a quelle che la supposta hCG embrionaria deve essere capace di indurre e liberare al momento di impiantarsi (l’impianto embrionario è infatti un processo erosivo e infiammatorio vero e proprio simile al trauma della biopsia). Per questa ragione in alcuni centri di PMA si pratica oltre alla biopsia endometriale anche una somministrazione endouterina di hCG ricombinante durante il ciclo del transfer, alcune ore o giorni prima di trasferire soprattutto blastocisti dato il limitato tempo di quest’ultime di interferire con la mucosa endometriale (24h). Parimenti ha un razionale l’utilizzo di farmaci capaci di aumentare la disponibilità di AMPc a livello endometriale.

A livello di ipotesi, la difficoltà procreativa esistente, di base, per il genere umano è stata collegata alla necessità filogenetica di dover provvedere ad un sistema placentare adeguato all’ossigenazione di una massa cerebrale che nell’uomo è (rispetto alla massa corporea) superiore a quella di  tutti gli altri mammiferi (referenza n 7). Secondo questa teoria, proprio il livello più alto di hCG glicosilata, trovato negli esseri umani rispetto ai primati, sarebbe associato ad un più alto grado di invasione miometriale da parte della placenta umana (di origine embrionaria). Il vantaggio biologico di poter disporre di un letto vascolare maggiore per rifornire il cervello umano del massimo di ossigeno ha però forse un costo sia in termini infertilità inspiegata che di patologia ostetrica.   

 

REFERENZE BIBLIOGRAFICHE

  1. L Bernardini, I Ciuffardi, JP Balmaceda. Uterine receptivity and embryo quality: clinical models to assess the relative importance in assisted reproductive techniques. References en Gynecologie Obstetrique, Vol 2, N° 2, p 153-169, 1994
  2. RF Casper and EH Yanushpolsky. Optimal endometrial preparation for frozen embryo transfer cycles: window of implantation and progesterone support. Fertility and Sterility, Vol 15. N 4, p 867-872, 2016
  3. L Bernardini, JP Balmaceda, L Gianaroli et al. Signal transduction of hCG induces decidualization and uterine receptivity. J of Fertility Biomarkers open access, 2015
  4. T Fournie , J Guibourdenche , Evain-Brion D. Review: hCGs: Different sources of production, different glycoforms and functions. Placenta 36, Vol 29, Supplement 1, S60-S65, 2015
  5. Zhi Wang, Daozhan Yu, Mengqiao Wang et al. Elabela-Apelin receptor signaling pathway is functional in mammalian systems. www nature.com/scientific reports 2017, DOI:10.1038/srep08170
  6. Van Dijk M, Boussata S, Root L et al. Peptide hormone Elabela that causes pre-eclampsia-like symptoms in knockout mice enhances human trophoblast invasion. Placenta 2017 DOI: org/10.1016/placenta2017.07.167
  7. Cole LA. Biological functions of hCG and hCG-related molecules. Reprod. Biol. Endocrinol. 8, vol 102, 2010, DOI: 10.1186/1477-7827-8

 

Dr Luca M Bernardini

Centro Infertilità – LUNICARE, Via Variante Cisa 39, 19038, Sarzana

 

 

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